Innanzitutto ringrazio tutti Voi per l’invito. I più profondi sentimenti di gratitudine vanno all’Opera Pizzigoni ed al suo presidente, Dott. Dossena, alla Direzione didattica della Scuola Rinnovata nella persona del Dott. Vito Giacalone, a tutto lo staff organizzativo del simposio, nutrito dalla volontà e dalla fattiva operosità dei docenti che hanno promosso e reso possibile il realizzarsi dell’iniziativa. La presenza, poi, del Direttore Regionale della Lombardia, Dott. Mario Dutto conferisce un particolare onore al convegno.
Sono passati un po’ di anni da quando vide le stampe il mio studio monografico sulla Pizzigoni e la sua opera[1]. Era il 1988, ma già nel precedente anno - nel 1987 - avevo potuto anticipare i risultati del mio lavoro in occasione della commemorazione del quarantennio della scomparsa dell’insigne protagonista di quella grande “avventura pedagogica” che è stata la fondazione, nel lontano 1911, in località Ghisolfa, della scuola “secondo il metodo sperimentale”.
Nel convegno Giuseppina Pizzigoni e la “Rinnovata” di Milano nella prospettiva della nuova scuola elementare, svoltosi a Milano presso il Museo della Scienza e della Tecnica, insieme al professor Aldo Agazzi e a Cesare Scurati ebbi modo di esprimere il mio contributo interpretativo circa la figura della protagonista e il declinarsi della vita scolastica presso quella scuola che, a suo tempo, era stata indicata da illustri critici [2] quale modello esemplare di scuola attiva italiana per il grado elementare o quale perfetto e compiuto esempio di un’ archetipa idea di scuola[3]. Ne Il senso di una recente ricerca[4] avevo delineato alcune coordinate interpretative del pensiero e dell’opera della Pizzigoni; infatti, essendomi inoltrata tra i numerosi rivoli delle fonti bibliografiche, avevo cominciato a discernere ed individuare molteplici e inaspettate “sorgive”. Confortata da documenti di una certa significatività, avevo rintracciato elementi di convergenza e influenze culturali che erano stati prevalentemente tralasciati dagli altri critici. In particolare, scartabellando tra le letture pizzigoniane e gli influssi che subì il suo teorizzare, sempre rivolto verso la “pratica”, cercai di scardinare non pochi luoghi comuni che aleggiavano sul “pensiero-azione” pizzigoniano. I risultati del mio studio posero in luce che vi erano state con ogni probabilità influenze dirette del pensiero deweyano sulla Pizzigoni [5]e che la maestra riformatrice aveva potuto attingere ai risultati “di prima mano” delle ricerche che Decroly veniva elaborando sin dal 1907 sull’apprendimento della lettura, insieme a J. Degand. Tali studi, pubblicati, infatti, in articoli su l’ “Archives de psychologie” e su “Année Psychologique” furono presumibilmente attentamente letti dalla Pizzigoni che era abbonata, proprio in quegli anni, a tali riviste, spalancandole la strada ad un diverso modo d’intendere l’apprendimento di lettura e scrittura.
Il mio studio più complessivo sulla Pizzigoni risultava effettivamente un po’ diverso rispetto a quelli degli altri autori che prima di me avevano approfondito il mondo culturale pizzigoniano. Esso volle cogliere innanzitutto la “teorizzazione nascosta” dietro l’agire quotidiano, pedagogicamente fondato, della maestra milanese. La mia ricerca d’altronde aveva potuto giovarsi di carte, di un’investigazione “a trecentosessanta gradi” dei materiali dell’Archivio, conservato presso la scuola, messo gentilmente a mia disposizione, dopo un certo periodo di conoscenza, dal Direttore Antonio Cimmino e dalla segretaria Signora Mara. Avevo, anche, potuto avvalermi di incontri significativi con Docenti, con “cultori” - a vario titolo - della Rinnovata, in certo qual modo, di una vita per un periodo trascorsa direttamente e indirettamente alla Rinnovata. Lo stesso percorso di ricerca fu caratterizzato da un lungo ed intenso procedere e ciò consentì, credo, il sedimentarsi di alcune riflessioni. Certo, da parte mia, era maturata un vera e propria “passione”, come sovente capita quando ci si avvicina ad un autore, ci si inoltra nella sua vita, se ne colgono aspetti umani ed esistenziali. E questa, per così dire, “ passione”si è conservata nel tempo ed è stata sempre accompagnata dalla riflessione che aiuta a discernere, a sfoltire eventi e situazioni secondari, illuminando percorsi e tracciati prima inesplorati. Mi ero attenuta ad un atteggiamento di scientificità e nel contempo avevo seguito le parole introduttive di Aldo Agazzi nel quarantennale, allorquando affermava:” In certo qual senso saremmo qui per una ‘celebrazione’. Ma sarebbe un tradire la serietà, il buon gusto, e lo spirito e le forme della personalità e dell’esprimersi della Pizzigoni medesima, se rendessimo alla sua presenza nella realtà e nella memoria della cultura pedagogica e della scolarità, se indulgessimo alla tentazione ‘celebrativa’del panegirico e dell’agiografico.”[6] Mi riservavo di scrivere altri saggi , in particolare, proprio in merito alla scuola dell’infanzia pizzigoniana, perché anche su quello la maestra scrisse e si cimentò, addirittura realizzando sussidi didattici creativi, specificamente pensati per bambini della scuola materna, ben lontani dai materiali montessoriani. Ho curato, tuttavia, altri approfondimenti in articoli e saggi, nonchè nell’ambito di convegni, quale quello promosso da Cesare Scurati - con il contributo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dell’Editrice La Scuola - il 18 aprile 1989 presso l’Aula Magna dell’Università Cattolica di Milano su La Scuola elementare dal 2000 alla “Rinnovata”, nel quale svolsi la relazione su Giuseppina Pizzigoni: una maestra e altro…
Oggi, dovrò concentrarmi sul particolare messaggio, lasciatoci da Giuseppina Pizzigoni. Anche a questo riguardo, nella significativa occasione da Voi promossa con la compartecipazione dell’Università Cattolica, c’è stata una coincidenza. Tutta la vita della Pizzigoni è stata siglata da un susseguirsi di coincidenze favorevoli, anche se le difficoltà realizzative furono, in diversi periodi e per differenti ragioni, moltissime. Soprattutto la singolarità delle coincidenze sembra riguardare il tener in vita la propria “ creatura” [7], sia durante il percorso esistenziale della Pizzigoni, sia negli anni successivi, quando la singolarità del progetto didattico - per il diffondersi di impostazioni scolastiche ispirate ai modelli di “scuola-comunità”degli anni Settanta - rischiò effettivamente di vanificarsi.
Giuseppina Pizzigoni nel 1929 si ritirò dal calcare direttamente la scena pedagogica, per rimanere dietro le quinte, fondamentalmente per dimostrare l’intrinseca vitalità del suo progetto pedagogico. Sembra infatti in prima istanza andare in pensione per un male agli occhi, colpita altresì negli anni seguenti dalla scomparsa dell’inseparabile amica Maria Levi, che le era subentrata nella direzione. Soprattutto sembra voler rispondere ad alcune critiche, riaffermando che la “Rinnovata” potesse vivere autonomamente senza la sua diretta presenza, senza la sua cura solerte e assidua, senza il suo management, senza la sua capacità di intessere relazioni con i più diversi ambienti e di essere diretta e attenta osservatrice dei bambini nel loro modo di essere più spontaneo e nel contempo educato. Nel corso del tempo, tuttavia, di contingenze e situazioni particolari se ne sono verificate molte e tutte, in modo convergente, al di là delle avversità hanno permesso - seppur nel succedersi di eventi diversificati - alla scuola di diventare scuola di metodo. Oserei dire: per oltre un quarantennio la Rinnovata si è fatta conoscere come scuola di metodo.
Mentre procedevo nella ricerca, mentre lavoravo tra carte ingiallite, tra articoli di giornali, ritagliati in taluni casi dalla stessa Pizzigoni, che parlavano di lei e della scuola, sovente mi capitava di comunicare a qualche insegnante i progressi del mio studio e molto spesso l’interlocutore mi diceva: “Io sono stato alla Rinnovata”. Erano persone di svariate età che avevano svolto perlomeno un breve corso, o un più lungo, oggi diremmo, stage alla Rinnovata-Pizzigoni. L’intento della Pizzigoni - da quando nel 1926 fu avviato il primo Corso pedagogico per maestri[8], trasformato poi, nei Corsi di differenziazione didattica, giunti sino a noi, e su proposta di S. E. Ercole, con la richiesta inoltrata al Ministero nel 1935, di fondare un Istituto Superiore per il Metodo Pizzigoni, fu quello di diffondere un po’ ovunque il suo metodo. Quindi dal Cadore alle regioni del Sud della nostra penisola, dalla Pannonia, perchè ci sono delle corrispondenze della Pizzigoni con alcuni Paesi dell’Est, con realtà del Sudamerica, oltre che - certamente - le prime corrispondenze con il Nord dell’America attraverso l’amicizia con Regenia Heller della scuola magistrale di Detroit. Noi tutti sappiamo che periodi fertili fossero quelli dei primi del Novecento per ogni ambito culturale ed anche per le innovazioni pedagogiche. Sono momenti storici in cui le riviste educative riportano un dialogo pedagogico “a distanza” fittissimo, che non è soltanto caratteristico del già vasto ambito europeo, entro la cerchia delle diverse scuole nuove, ma travalica gli oceani[9]. In particolare, la diffusione del metodo Pizzigoni comincia a propagarsi in modo sistematico a partire dagli anni Trenta, ma sicuramente già negli anni precedenti, a partire da quelli della sua fondazione, ci sono i basamenti, attraverso gli scambi di visite tra realtà educative differenti, per costruire e consolidare la fama e l’effettiva realtà di una “scuola gioiello”, come ha ben sottolineato il Direttore generale Dott. Dutto, una vera e propria scuola modello cui tutti potessero riferirsi.
Mi pare opportuno ora concentrarmi, compiendo un notevole lavoro di sintesi, sul messaggio, o meglio, sul ventaglio di messaggi dell’opera della maestra milanese, secondo quanto mi avete richiesto. Quale può essere il messaggio di Giuseppina Pizzigoni, oggi? Intanto mi è subito balenato innanzi il problema: possiamo noi, siamo in grado noi di raccogliere questo messaggio? Devo sottolineare che quando mi arrivò la richiesta di partecipazione al Simposio da parte della Dott. Musella, proprio per coincidenza, avevo appena terminato una lezione, dalla quale ero uscita particolarmente soddisfatta; gli studenti, infatti, avevano partecipato come non mai, erano apparsi profondamente interessati a quello che era accaduto alla Rinnovata nel corso del tempo, dalla sua fondazione quasi un secolo fa, tanto che avvertii che in quel giorno in aula si era respirata, per così dire, un’aria veramente pedagogica. D’altronde, come accade, ogni volta che parlo della Pizzigoni, in uno dei miei corsi universitari annuali di Pedagogia generale o di Psicopedagogia, (il corso generale naturalmente non riguarda specificatamente quell’argomento, ma a volte si spazia su specifiche realtà pedagogiche ed educative), in quei casi, dicevo, la platea si infervora, si appassiona, quasi “si infiamma”. Oggi, ciò è raro che accada, una neutralità e un’indifferenza diffuse dilagano, si tratta, credo, di una sorta di cinismo intellettuale e cognitivo. Invece alla scuola della Ghisolfa c’è qualcosa che contagia, si avverte che alla Rinnovata c’era e - credo - ci sia la pedagogia, c’ è veramente la qualità educativa, alla quale tenderemmo.
Vorrei, dunque, concentrarmi su alcuni punti specifici. Possiamo davvero parlare di messaggio nel senso più proprio del termine, come viene precisandosi nella teoria della comunicazione? Il vocabolario della Lingua Italiana Treccani, nel senso più ampio e pertinente per la mia investigazione, lo definisce quale “insieme di informazioni e di segnali, di vario genere e contenuto, che, comunque espresso, viene tradotto in un determinato codice secondo precise regole di combinazione, trasmesso attraverso opportuni canali da un soggetto, ente, organo, sistema (emittente) a un altro (ricevente) con cui è in relazione, il quale è in grado di decodificare il messaggio e venire a conoscenza del contenuto”. La Pizzigoni - vedremo - si è avvalsa di vari canali, ben sappiamo che dichiarava di avversare il verbalismo, le vuote parole (ma ci risulta anche che i suoi discorsi, ricchi di “a capo” fossero in grado di avvincere le platee e risultassero comprensibili a tutti). Ha utilizzato scritti stringati, ma ha costruito un sistema complesso, composto di tanti segnali, tra loro anche differenziati, che affondavano, tutti, in una centrale e fondante istanza educativa. I mezzi di diffusione furono moltissimi: dalle conferenze di presentazione con l’uso antesignano di diapositive, e successivamente la fondazione dell’Ufficio di Propaganda con specifici e ben individuati compiti, i diari dell’attività svolta e le significative relazioni annuali. Il problema, oggi, sembra porsi in questi termini: siamo in grado, noi, di decodificare tali messaggi e di comprenderli in tutta la loro portata? Si tratta, come dicevo, di un messaggio articolato in tanti micromessaggi che si addensano tuttavia in un'unica istanza fondamentale. É la centralità effettiva del bambino e quindi la sua formazione ottimale e onnicomprensiva ad essere davvero al centro della “speculazione” della Pizzigoni, destinata in ogni caso a conseguire in tempi brevi la miglior realizzazione. L’educazione è veramente al centro, l’educazione in tutte le sue sfaccettature, quindi quando autorevoli giornalisti di testate nazionali, oggi, dicono:“Ah ma questi pedagogisti non sanno far altro che discernere o meglio “vivisezionare” le varie “educazioni”, come fossero dei segmenti da resecare e quindi parlano di educazione stradale, sessuale etc., quali compartimenti stagni!” Nell’opinione pubblica, o perlomeno entro la cerchia di taluni gruppi di intellettuali, proprio in questi ultimi mesi ha preso corpo una sorta di rivolta, quasi una ribellione nei confronti di taluni atteggiamenti pedagogici, erroneamente interpretati. La Pizzigoni, anche a questo riguardo, avrebbe saputo rispondere come effettivamente fece. Vi fu infatti nella sua scuola un’attenzione per tutto, sin per i minimi particolari, però tenendo conto che la persona è una, il bambino va effettivamente seguito individualmente con un’osservazione assolutamente mirata. Voi ben sapete che fu la prima che introdusse la cartella biotipologica che trovò poi diffusione un po’ ovunque nelle scuole materne ed elementari; oggi l’ultimo documento ministeriale sembra chiamare l’accurata e intelligente raccolta dei dati anamnestici, psicologici e più specificamente inerenti alle prestazioni scolastiche, “portfolio delle competenze individuali”.[10] Ripeto, correndo il rischio di apparire retorica, non so se ci sia da parte nostra la possibilità, o meglio la sensibilità culturale, di recepire il messaggio pizzigoniano perché siamo in un ambiente profondamente diverso, davvero mutato nei suoi valori essenziali. Tutti noi lo sappiamo. Certamente Giuseppina Pizzigoni sarebbe stata al passo con i tempi nel senso migliore dell’espressione, perché voleva innovare, aspirava a seguire, sempre in modo originale, le tendenze più innovative, desiderava non lasciarsi “spiazzare” o non farsi trovare impreparata, in ogni caso non indietreggiava mai e avrebbe accolto i nuovi modi di essere di oggi con avvedutezza, capacità interpretativa ed effettiva volontà di volgere al meglio ciò che parrebbe presentare ardue problematicità educative. Sicuramente la Pizzigoni non si lasciava andare alla routine.[11]
Il messaggio più importante è dunque quello di aver posto al centro il problema educativo in tutte le sue sfaccettature, nel tradurre in pratica educativa quelli che erano e restano gli universali pedagogici. Partendo da quella che - potremmo definire - un’osservazione sistematica la Pizzigoni cerca di offrire una risposta a tutti i problemi che le si pongono innanzi. Non indietreggia mai, ma affronta le situazioni. Va incontro ad ogni contingenza (qualsivoglia problema specifico ponga) ed è pronta ad ogni evenienza, anche perché ben sapeva che i rischi educativi o gli errori pedagogici sono sempre dietro l’angolo.
Quindi il primo messaggio è quello di un’effettiva attenzione al bambino, non una vigilanza edulcorata, non la paragonerei in nessun modo alla premurosa visione dello scolaro dei programmi precedenti, quelli innovativi che erano giunti al traguardo nell’antecedente legislatura, né alla cura di quelli attualmente elaborati quali proposte indicative mirate. Non direi, alla Ghisolfa veniva assunta un’impostazione metodologica che poneva il bambino al centro, ma non lo considerava come personalità da iperproteggere. Il piccolo scolaro della Rinnovata è soggetto-oggetto di una modalità di osservazione - davvero educativa - da parte dell’insegnante di classe e degli altri educatori per far sì che le capacità di ognuno si traducano in competenze, ma sapendo che si tratta di un progetto lungo di anni, che richiede il coacervo delle diverse forze, di differenti stimoli finalizzati perché la crescita di ciascheduno si possa compiere. Si realizzò un vero e proprio “reticolato”di attività, dai mille “intrecci” che consentiva sia la crescita della personalità, sia il potenziamento delle capacità di base e acquisite. Il carattere per la Pizzigoni andava formato a lungo, avendo sempre di mira il traguardo dell’autonomia personologica. Ella cura moltissimo l’aspetto temperamentale-caratterologico e pone come istanza fondamentale che il bambino cresca in autonomia di giudizio e di valutazione, vuole che diventi precocemente, ma secondo i tempi dello sviluppo, responsabile delle proprie azioni. Appare evidente che la problematica tocca a questo riguardo la vera e propria educazione morale, curata particolarmente nei primi tempi di vita della Rinnovata, come si può evincere in modo dettagliato dalla Relazione Pellegrini.[12] Oggi, nel nostro contesto socioculturale tanto diversificato, è una problematica che torna, timidamente, a riaffiorare[13]. Credo che l’educazione morale debba , in ogni caso, essere scandita secondo dimensioni “intrinseche”. Intendo tale termine, non in riferimento alla tipologia di sentimento morale che contraddistingue dapprima il bambino e poi - in successione ed in corrispondenza con il definirsi degli altri tratti della personalità e con il progredire delle capacità cognitive - l’adolescente e il giovane adulto. Secondo tale angolazione, che è poi quella posta in luce da Kohlberg e da Piaget, i fanciulli della scuola elementare sarebbero spinti nel loro modo di essere e di agire da una concezione morale cosiddetta estrinseca. Mi riferisco, invece, in questo caso, all’utilizzazione del termine intrinseco quale messa a punto di un coacervo di evenienze educative e di accadimenti, significativi sul piano pedagogico, che si contraddistinguono per la spontaneità e la “naturalezza”nei reali contesti di apprendimento. Alla Rinnovata-Pizzigoni, Voi lo sapete, l’educazione morale rappresentava un epicentro formativo. La Pizzigoni ne ravvisa la principale finalità non nel “far sapere” ma nel “ far volere”, inclinando “le volontà giovani e libere verso il bene”. La Pellegrini ci guida - secondo un’osservazione diretta - nella scansione della vita scolastica alla Rinnovata dove la formazione morale e la stessa educazione dei sentimenti ricevettero attenzioni speciali, tanto che, già nell’arco dei primi tre anni di frequenza scolastica, se ne potevano vedere i frutti. Alla luce delle emergenze educative del tempo presente questo è un messaggio che dovrebbe ispirarci in profondità proprio nell’ambito, più generale, della centralità della formazione della personalità.
Nella prima stesura del piano educativo, come ci conferma la Pellegrini, i castighi erano stati completamente eliminati, per essere poi reintrodotti quali sanzioni naturali. Si può assistere, seguendo le intelligenti osservazioni dell’Ispettrice al delinearsi di un affresco pedagogicamente connotato, entro il quale si staglia la scena di un autentico processo di autoeducazione con l’effettivo “allenamento” della responsabilità, per il tramite dell’assegnazione di “compiti speciali settimanali”[14], attraverso gli “esercizi introspettivi”, finalizzati alla riflessione sui propri rapporti con gli altri (coetanei, docenti e altre figure) ed ancora con il supporto delle attività teatrali, in progressione di sviluppo, a partire dalle brevissime “scenette” con i burattini nella prima elementare. Sono tutte sezioni di un medesimo dipinto, sulla base, per così dire, dello stesso “ intonaco preparato” che consentono di gettare le basi di una sensibilità morale indispensabile per una crescita armoniosa e serena.
La relazione-Pellegrini rappresenta, oserei dire, la disamina più approfondita e articolata. Seguiranno, poi, altre visite ispettive penetranti, tra le quali quella nel 1915 del Prof. Luigi Friso (e successivamente del Fiorini e del Nicoli), tutte promosse dal Ministero della Pubblica Istruzione per verificare gli stati di avanzamento della “scuola modello” secondo il metodo sperimentale, che avrebbe dovuto ispirare con le sue innovazioni “a tutto campo”la futura riforma della scuola. La Relazione Pellegrini ci può essere ancora oggi di grande utilità,“fotografa” infatti secondo una visuale, ancora di tipo positivistico, quella che era la Rinnovata degli esordi, la sua vita palpitante, i bambini come realmente si muovevano, una mamma tra gli altri genitori soddisfatti che esclama riferendosi a suo figlio: “Parla e lavora e pensa come un uomo. Avevo temuto che me ‘ riescisse’ monello e ‘scapato’: la scuola me lo ha rifatto!” O ancora un papà che soggiunge: “In casa mia ora bisogna trattarci con con belle maniere senza bestemmiare e tenersi puliti; perché il mio ragazzo ce ne dà l’esempio”.[15] E, certamente sapete, quale era l’ambiente della Ghisolfa di allora: ambiente problematico, connotato da pauperismo e difficoltà di ogni genere. L’educazione dei bambini rappresentava una vera emergenza: spesso anche i più piccoli erano trascurati per indigenza, povertà , nonché per ignoranza delle basilari cure igieniche, per non parlare delle attenzioni mediche. Il bambino e la sua famiglia andavano contestualmente educati. Quindi un primo messaggio pregnante che si impone è l’attenzione al bambino nelle sue peculiarità, il bambino nella sua famiglia. Ciò accadeva, anche in seguito alla spinta propulsiva, suscitata da alcune visite in Germania, e in seguito alle corrispondenze epistolari e ai contatti di lavoro avviati dalla Pizzigoni con gli Stati Uniti, realtà presso le quali era diffusa una specifica attenzione per il rapporto scuola-famiglia. Sul contemperare le istanze formative delle istituzioni educative fondamentali, famiglia e scuola, la Pizzigoni punta in modo privilegiato, basta leggere le “Relazioni annuali[16]”, dalle quali si possono trarre numerose conferme su ciò che hanno focalizzato alcuni critici di riguardo, tra i quali la Pellegrini e la Carmeli. Da essi si può desumere che le famiglie erano effettivamente incontrate con fertili e reciproci scambi, una volta al mese, sia dal direttore, sia dall’insegnante di classe. La famiglia è sicuramente al centro della visione pizzigoniana ed è aiutata in ogni modo e con solerzia a svolgere il suo primario compito educativo.
E proprio sull’insegnante di classe - che riveste un ruolo di grande rilevanza - occorrerebbe a questo punto, credo, soffermarci per trarre dall’impostazione di questa grande maestra, che fa ancora oggi sentire la sua “voce”, un altro messaggio indelebile. Nel segno della continuità, la Rinnovata si muove sempre verso questa direzione molto valida sul piano pedagogico, avendo il suo ordinamento mantenuto viva a tutt’oggi la figura dell’ “insegnante prevalente”. Anche in questo caso e secondo tale prospettiva la continuità del messaggio pizzigoniano si rivela nella sua effettualità, offrendoci un esempio che sembra interessare in profondità la riforma della scuola attualmente in elaborazione. La sua organizzazione ci elargisce ad ogni passo un esempio di quella che può essere la presenza più incisiva di un insegnante rispetto all’operato - seppur concertato e armonizzato nell’ ambito del team docente - sia in riferimento al far germinare negli alunni un’unitarietà della cultura, sia nell’ottica della promozione di una coerenza morale interna. Tocchiamo un tasto “rovente” in questo momento. Cosa avrebbe fatto la Pizzigoni per parlare ai suoi genitori, per dialogare con i suoi insegnanti affinché potessero far scaturire dai colloqui con le famiglie ogni miglior frutto? Certo, la maestra-direttrice si sarebbe adoperata - credo - nel modo più intelligente perché intuiva, osservava e coglieva euristicamente dal vivo delle situazioni elementi pedagogicamente pregnanti[17], giungendo poi ad elaborare punti molto importanti per avviare un primo contatto, quale basamento di una comunicazione più profonda.
Altro ambito di messaggio è quello - ritengo - della organizzazione di un curricolo. Qualche critico, leggendo i programmi, disse : “ Eh, ma programmi giorno per giorno! In qual modo potrebbe, seguendo tali dettami, estrinsecarsi la libera iniziativa e l’autonomia didattica degli insegnanti?” Al di là del dibattito, che già allora si avviò, intorno a questo argomento, noi, ancora oggi, leggendo e inoltrandoci in quei programmi dettagliati e minuziosi, rimaniamo esterrefatti. Effettivamente dedicai un capitolo del mio volume alla disamina, che ritenevo saliente e anche dirimente circa la portata pedagogico-didattica dell’opera della maestra milanese, se quelli della Pizzigoni fossero programmi, o si trattasse, piuttosto, di una programmazione. Siamo di fronte ad “ un programma rigidamente scandito, dogmatico e prescrittivo, che secondo i canoni tradizionali detta e sancisce un disegno generale ed uno per le singole materie? O piuttosto l’articolato piano previsto dalla Pizzigoni è maggiormente accostabile all’attuale concetto di programmazione, quale elaborazione di un progetto scientificamente scandito, che consideri le più ampie finalità dell’insegnamento, le ‘ tappe intermedie’per arrivare ai ‘traguardi finali’, le metodologie e le ‘attività mirate’ ai diversi obiettivi, le verifiche con effetto retroattivo del processo apprenditivo nel suo divenire e nei suoi risultati?”[18] Tali erano allora alcuni dei tanti quesiti che il mio studio prospettò. Si configurano effettivamente, a mio avviso, tutte le caratteristiche della costruzione di un curricolo e quindi della realizzazione di una programmazione con finalità, obiettivi e con poi una serie di mezzi , i ben noti mezzi, tra cui l’ambiente-mondo, e, non meno importante il tempo prolungato, un tempo “ a limiti indefiniti”[19], senza tralasciare l’apporto sostanziale degli insegnanti specialisti. L’ambiente speciale, il prolungamento dell’orario e le collaborazioni dei maestri artieri resero possibile il realizzarsi di una scuola disposta ad accogliere i bambini, più di dieci mesi l’anno, che restava infatti aperta in estate come centro educativo o colonia e, in ogni caso, riapriva i battenti molto prima sia al mattino , sia durante le diverse stagioni. Erano tutte condizioni privilegiate. All’inizio si lavorava anche il giovedì, il “famoso” giovedì che in certi periodi dei primi del Novecento era festa. Si trattava di un tempo che realmente consentiva una qualità di lavoro non paragonabile a quella di tante altre istituzioni didattiche. Voi, certamente, avete mantenuto questa caratteristica, anzi, come dice il Romanini[20] - a questo proposito molto correttamente - la Scuola Rinnovata fu l’esempio per la realizzazione, cinquant’anni dopo, delle scuole integrate e poi, in successione nel 1971, si potrebbe dire, di quelle che saranno le scuole a tempo pieno, introdotte dalle legge 820.
Un punto mi pare meritare ancora un particolare rilievo e può essere considerato un messaggio tra i messaggi di “marca” educativa. L’insegnante deve essere valorizzato al massimo grado, è un protagonista, ma deve essere “aiutato”. L’insegnante immaginato e poi effettivamente “formato” dalla Pizzigoni è responsabilizzato nella sua professionalità, è guidato dalla “vocazione”, però può trovare nel suo agire quotidiano degli aiuti notevolissimi. La scuola Rinnovata degli esordi e della sua massima espansione, sotto la guida sagace di un’insegnante-direttrice intelligente e particolarmente aperta alle innovazioni, è una realtà educativa che non lotta da sola per risolvere i molteplici problemi metodologici e formativi; è aiutata da specialisti, da maestri artieri, da artisti e musicisti, da personalità del mondo scientifico e culturale, particolarmente sensibilizzate ai temi della scolarizzazione. Tutti questi personaggi, da coprotagonisti, contribuiscono alla realizzazione del progetto educativo tanto ambizioso. Essi, oltre all’aiuto diretto profuso, rendono la scuola viva, “mantengono la vita nella scuola”, come diceva la Pizzigoni. Si trattava allora di scuole comunali, come ben sapete , certamente aperte a tutti, ma nella zona della Ghisolfa di allora, particolarmente frequentate da bambini svantaggiati. Sicuramente c’è anche il consistente e pedagogicamente interessante apporto di tutte queste diverse figure di specialisti che, o erano raggiunti tramite visite e stages (soprattutto nella scuola professionale), oppure operavano all’ interno della scuola stessa, come sapete meglio di me, diventandone parte integrante. Alcuni addirittura continuarono ad essere attivi, alcuni anni or sono, palesando nel loro “agire pedagogico” le caratteristiche più proprie del metodo pizzigoniano. Non si può tralasciare di parlare del metodo. Quando, oltre un decennio fa portai delle “scolaresche”, per così dire, dell’Università, tutti gli studenti intervenuti rimasero profondamente colpiti dal vedere gli insegnanti “pizzigoniani”, o meglio “post-pizzigoniani”, che riuscivano con tanta naturalezza a far scaturire il metodo dai bambini stessi. Eppure i bambini apparivano ordinati, era come se i docenti riuscissero ad orchestrare “miracolosamente” tutto ciò che profonde dal bambino in piena spontaneità e a renderlo fertile per l’apprendimento di tutti. Dall’intuizione di uno, alla rielaborazione di un altro sino alla concettualizzazione più matura e, a volte, sorprendente per l’età di tutto il gruppo classe.
In connessione con quanto precedentemente considerato circa il sodalizio realizzato tra tutti gli educatori, sia insegnanti ufficiali, sia specialisti a diverso titolo, credo, che il messaggio che potrebbe aiutarci di più a cogliere l’esigenza e la rilevanza di una riforma della scuola oggi, è quello di una scuola nella società, di una scuola effettivamente, intelligentemente collegata al mondo del lavoro. La Pizzigoni, già nel fondare la scuola, nello stendere lo Statuto e i primi programmi, addirittura nel creare antecedentemente il Comitato promotore, vuole andare al dunque del problema educativo, crede fortemente nella realizzazione del potenziale educativo, diremmo oggi, di ogni alunno, lotta perché la pedagogia sia una cosa seria che debba trovare riscontri e apporti nella società. Lo stesso Nicoli nel commemorarla nel numero monografico de “L’educazione Nazionale” del marzo del 1930 asserì: “ Essa ha proclamato il principio che la pedagogia è una cosa seria e non vi deve essere contrasto tra la dottrina e la pratica educativa …”[21]. La Pizzigoni lo afferma ripetutamente, a partire dal famoso “discorso- programma” del 1911. Sono tutti aspetti del messaggio pizzigoniano che attendono di essere rinvigoriti, che necessitano, oggi, di una nuova linfa in una società che tende a configurarsi sempre più come un ambiente disattento alle autentiche istanze educative. Certo, nella realtà lombarda, risultava particolarmente fertile una scuola aperta e collegata con il mondo del lavoro.
Mi sembra di poter concludere rimarcando che nel tempo presente ci sono segnali di allarme che andrebbero attentamente letti e interpretati e potrebbero trovare, non dico dello risposte certe, ma degli spiragli di interpretazione della realtà, in cui i fondamenti educativi possano riprendere fiato ed ossigeno. I messaggi sono nel segno della prefigurazione di una società “nuovamente” educante, nella quale gli insegnanti non possono e non devono essere lasciati soli, e, secondo questa prospettiva, la scuola potrebbe riacquistare una valenza particolarmente importante nella considerazione delle persone e nella più complessiva rappresentazione sociale. Colgo l’esigenza di una rivalorizzione della figura dell’insegnante nell’importantissimo ruolo che svolge, spesso in solitudine. Vi lascio con questi brevi flash, che hanno voluto attingere in modo particolare alla Rinnovata delle origini, senza certo misconoscere tutto ciò che essa ha saputo conservare e mantener vivo nel corso di quasi un secolo. Mi è sembrato utile rimettere a fuoco temi anche remoti, quali la stessa attenzione all’educazione morale che è poi formazione della personalità più complessiva dell’alunno. Speriamo, me lo auguro di tutto cuore, di essere, ognuno di noi, nelle condizioni di poter recepire ancora tutto ciò, speriamo di non essere tanto isteriliti, rinsecchiti e chiusi nel nostro dilagante egocentrismo, da non essere più pronti a cogliere i messaggi - davvero educativi - che hanno connotato a livello di grandi istanze i due secoli trascorsi. Vi ringrazio per l’ascolto e, se ci saranno delle domande, avrò il piacere di confrontarmi con Voi e con la ricchezza della Vostra sedimentata esperienza umana, didattica e culturale.
[1] Mi sia consentito rinviare al volume: O.ROSSI CASSOTTANA, Giuseppina Pizzigoni. Oltre il metodo: la”teorizzazione nascosta”, Brescia , Editrice La Scuola, 1988.
[2] Si espressero in questi termini - tra gli altri - Giuseppe Lombardo Radice e Giovanni Calò nell’efficace rappresentazione tratteggiata per l’Enciclopedia Italiana. Cfr. G.L.RADICE, l’École Active dans la réforme du Ministre Gentile et dans les classes expérimentales dites de différeciation didactique, in A.FERRIÈRE, L’Aube de l’École Sereine en Italie, Revue « Pour l’Ère Nouvelle », Paris Cremieu, 1927, p. 131, anche in « L’Educazione Nazionale », IX (1927), gennaio, p. 22 e. G.CALO’, Voce :Giuseppina Pizzigoni, in Enciclopedia Italiana, Roma, 1935, p. 467.
[3] Si espressero secondo quest’ordine di valutazione l’ Ispettrice Cleofe Pellegrini nella famosa relazione, riportata dal Nicoli (cfr. : P.F. NICOLI, Storia Della Scuola rinnovata secondo il metodo sperimentale. Fatti e documenti, Milano, Ufficio di propaganda dell’ “Opera Pizzigoni”,, 1947, p.69 e la Malnati ( cfr. :L.MALNATI, Impressioni sulla “Scuola rinnovata”, in “La Coltura Popolare” II (1912), n.17, p.685 sgg.).
[4] Cfr O.ROSSI CASSOTTANA, Il senso di una recente ricerca, in A.AGAZZI-C.SCURATI-O.ROSSI CASSOTTANA, Giuseppina Pizzigoni e la “Rinnovata” di Milano nella prospettiva della nuova scuola elementare”, “Atti del Convegno nel quarantesimo della morte di Giuseppina Pizzigoni”, Milano 6 giugno 1987, Museo della Scienza e della Tecnica Milano, Opera Pizzigoni, p.55 sgg.
[5] Se le prime traduzioni in italiano delle opere del Dewey risalgono, infatti, rispettivamente per Scuola e Società (1899) al 1915 per i tipi della casa editrice di Catania, F. Battiato, e per Il mio credo pedagogico (1897) al 1919 secondo una traduzione piuttosto scadente delle edizioni Oliva, tuttavia la mia ricerca “parallela” sulle riviste dell’epoca, mi permise di scoprire che un’ampia sintesi di Scuola e Società era stata pubblicata con la cura di Carolina Pironti sulla “Rivista Pedagogica” del 1911 ( C. PIRONTI, La scuola e la società di J.Dewey, in “ Rivista pedagogica”, V(1911), ott.-dic., pp.193 sgg.).
[6] A. AGAZZI, Giuseppina Pizzigoni ieri e oggi, in, Atti del Convegno del 6 giugno 1987…, cit.p.13.
[7] Cfr. F. CAPECCHI, A Scuola dalla Pizzigoni, in “L’Educazione Nazionale”, XIV(1932), gennaio, pp.1-7. In effetti la Pizzigoni , sin dal 1923, in una conversazione con la Antonelli Calfus per la rivista “La donna”esprime il timore, quasi “genitoriale”che la Rinnovata potesse deperire con il venir meno, in un futuro, della sua presenza. Questo dubbio viene a caricarsi di accenti di uno struggente scoraggiamento, inaspettato in un temperamento quale quello della Pizzigoni : “ E c’era nelle sue parole un così accorato senso di malinconia. Ho veduto in quel momento i suoi occhi velarsi dietro le lenti… - Tutto, tutto qui conosce la mia fede e la mia fervente attività, anche questo orto! Sarebbe un peccato che tutto finisse e che non continuasse per fiorire meglio e per estendersi, questa mia, opera di bene!” (L ANTONELLI CALFUS, La Scuola Rinnovata, in “La donna”, Milano, XIV(1923), n.396, agosto , pp.22-23. Per ulteriori specificazioni e chiarimenti sulla personalità contrastante ed indomita della Pizzigoni ci sia consentito rinviare al capitolo I: La vita, la personalità, gli scritti nel volume Giuseppina Pizzigoni, cit.
Anche il Lombardo Radice nel già menzionato numero sulla rivista “L’educazione nazionale” del 1930: Testimonianze, tratteggiava il desiderio della maestra-direttirice di vedere la sua “creatura” ormai indipendente dalla sua diretta tutela.
[8] Cfr. G.LOMBARDO RADICE, op. cit., p.30. D’altronde la prima tappa della diffusione del metodo Pizzigoni può essere considerata l’istituzione nel 1917 delle le prime borse di studio presso la Rinnovata per le migliori diplomate del Regno d’Italia. Per ulteriori specificazioni di queste evoluzioni, ci sia consentito rinviare ai rispettivi capitoli Una nuova sfida : il ritiro dalla scuola e la diffusione del metodo e Formazione e ruolo degli insegnanti nel volume Giuseppina Pizzigoni, cit, p.24 e p.88.
[9] A questo riguardo mi permetto di rinviare al mio studio: O.ROSSI CASSOTTANA, Evoluzione della considerazione dell’infanzia dall’ Ottocento a oggi, in La scuola per Genova città della cultura nel 2004, Atti del Convegno “ Genova Città dei bambini” (Genova 9-10 marzo 2001), Comune di Genova, 2002, pp.12-22.
[10] Cfr. DECRETO MINISTERIALE N.1OO DEL 18 SETTEMBRE 2002, “ allegati”: Indicazioni nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola Primaria.
[11] Sul piano personale il primo messaggio che lascia è quello di una personalità “non paga”. In questo modo,come è noto, si esprime infatti: “ l’animo mio non si acquietava e studiando sempre direttamente la scuola, ebbi come una visione rapida e sintetica di quel che dovrebbe essere la scuola elementare. Allora (si era nel 1907), quasi obbedendo ad una voce che mi dettava dentro, tracciai d’un fiato i punti fondamentali su cui avrebbe dovuto poggiare la nuova scuola; vidi quale doveva essere l’ambiente nuovo; vidi come i ragazzi si sarebbero potuti muovere, vidi la luce, bellezza che da una vita così vissuta sarebbe derivata alle menti e alle anime infantili e ne formai l’ideale. Era un sogno?”
[12] Cfr. M.C. PELLEGRINI, Relazione…, cit., particolarmente pp. 63-65.
[13] In particolare, le Raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali per i Piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria (10 ott.2002) si soffermano innovativamente a chiarire sul piano lessicale e fondare pedagogicamente il concetto di “Convivenza civile”, presente per la prima volta nel testo delle Indicazioni Nazionali (cit.), che va oltre la visione dell’ “educazione alla cittadinanza”, e del quale vengono scandagliate le intrinseche “ radici morali”. Occorrerà, a questo riguardo, promuovere il passaggio dalle ottime intenzioni alle possibili realizzazioni. L’impegno, particolarmente intenso, della Rinnovata - specialmente degli esordi - su questo versante potrà costituire un buon modello di riferimento, seppur non si possano trascurare le profonde divergenze culturali.
[14] I. DOSSI, La Scuola Rinnovata di Milano, in “Il Didascalico”, XXX(1914), n. 15-16, p.612.
[15] M.C. PELLEGRINI, Relazione…cit.,p.65.
[16] Le Relazioni annuali della Scuola Rinnovata, stampate dall’anno scolastico 1911-12 sino al 1935-39 e quelle dei Corsi integrativi con indirizzo professionale negli anni 1924-25 e 1925-26 offrono notizie “di prima mano” e considerazioni anche di carattere pedagogico. Furono direttamente curate dalla Pizzigoni le annate: 1911-12, 1912-13, 1913-14, 1914-15, 1915-16, 1917-18 e quelle inerenti ai Corsi Integrativi.
[17] Cfr. F.FRABBONI - F.PINTO MINERVA, Manuale di pedagogia generale, Roma - Bari, Laterza, 1996.
[18] O. ROSSI. CASSOTTANA, Giuseppina Pizzigoni…cit., p. 145.
[19] G. PIZZIGONI, Le mie lezioni ai Maestri delle Scuole Elementari d’Italia,Ufficio di Propaganda della “Rinnovata”, Milano, 1931, ristampato (prefazione di E. AGAZZI CARMINATI), Brescia, Editrice La Scuola, 1950.
[20] Cfr. L ROMANINI,Giuseppina Pizzigoni e la prima realizzazione di una pedagogia scolare autosufficiente, Brescia, Editrice La Scuola, 1958.
[21]P. F. NICOLI, La scuola di Giuseppina Pizzigoni, in “ L’Educazione nazionale”, cit. p. 123.