Mi soffermerò su due punti:
- la delineazione del punto di vista, della ‘mente’ caratteristica della Pizzigoni , degli strumenti che ha utilizzato per costruire il suo modo di capire, interpretare e realizzare la scuola primaria;
- una ripresa del concetto di ‘primarietà’ nel contesto attuale delle riforme e delle prospettive della scuola.
Scuola di popolo
Il punto di vista della Pizzigoni si potrebbe riassumere così: la scuola primaria, o meglio elementare, è la scuola della nobilitazione del popolo, che, nello specifico della Rinnovata, viene collocata in un ambiente urbano operaio. Se dovessimo trovare una situazione parallela, dovremmo pensare alla costruzione della Boschetti Alberti, che però collocava la sua scuola in un ambiente rurale contadino.
E’ presente anche qui, così come in tutti i grandi pedagogisti della scuola elementare - pensiamo, tanto per fare altri riferimenti, ad autori come Marco Agosti, Bruno Ciari e Mario Lodi -, la sintesi fra due elementi costitutivi, la povertà e la ricchezza, intesi non tanto in senso descrittivo-materiale, ma come povertà culturale da una parte e ricchezza di potenzialità e di forza dall’altra.
A questo si aggiunge la percezione della ‘preziosità’ particolare del momento di sviluppo personale e scolastico. E’ proprio nell’età della scuola elementare, infatti, che si colloca la convergenza forse più adeguata e felice tra carriera scolastica e sviluppo della personalità dell’individuo. L’alunno di questi anni è spontaneamente uno scolaro ‘forte’, con gli occhi aperti, pieno di aspettative, pronto ad assumersi impegni, capace di mantenerli: in una parola, di lavorare.
E’ in base a questo che scatta nella Pizzigoni l’idea di mettere al centro della sua scuola il lavoro: la scuola è il lavoro del bambino; non certo in senso repressivo, ma come impegno morale e civile del bambino incluso nell’andare a scuola ed impegno della scuola a rendere produttivo il suo tempo.
Di qui l’altro elemento importante, il non perdere tempo. La Pizzigoni, infatti, non appartiene certamente alla schiera degli educatori ‘contemplativi’- non sarebbe probabilmente stata molto d’accordo col principio per il quale il modo migliore di guadagnare il tempo è quello di perderlo: per lei il modo migliore di guadagnare tempo è di impiegarlo per fare. Il suo è quello che oggi si definirebbe uno spirito imprenditivo-manageriale che, per la sua originale capacità di realizzazione, potrebbe essere già di per sé un elemento da studiare e approfondire.
L’ansia di sfruttare ogni momento della vita scolastica si esprime nell’aspirazione a fare in modo che tutto ciò che si fa a scuola deve avere un risultato in quanto il bambino elabora forza, cresce su di sé, acquista una serie di potenzialità che non sono altro che le sue stesse, in principio intrinseche e poi pienamente svelate, potenzialità di comprensione, giustizia, progettualità, libertà ed umanità.
Forse, parlare solo di questa spinta verso il lavoro può apparire riduttivo; non dobbiamo quindi dimenticare che, come tutti i grandi attivisti, la Pizzigoni volle la sua scuola in un posto bello ed anche divertente: il parco, gli animali, le coltivazioni, i famosi insegnanti specialisti servivano come cultura della bellezza.
L’idea è che nella giornata di scuola sono compresenti due momenti, quello delle “cose utili” e quello delle “cose belle”, che la Pizzigoni connette fra di loro perché i bambini hanno bisogno di essere collocati un ampio quadro di possibilità con identico valore. La scuola elementare diventa, così, la scuola dell’uomo in quanto uomo nel senso più ampio delle sue potenzialità.
La mente pedagogica della Pizzigoni, al di là della sua apparente semplicità, si regge sulla fusione in una sintesi culturale compiuta di elementi del positivismo (fare, produrre, verificare, sapere come si fa, organizzare), dell’idealismo (nel senso di idealità per cui esiste la consapevolezza dell’esistenza di fini spirituali per cui oc- corre lavorare) e del socialismo morale (il socialismo solidaristico fondato sulla consapevolezza del legame tra il destino individuale e quello collettivo). Di questa sintesi la concezione ‘popolare’ della scuola è il risultato più evidente.
La Pizzigoni, poi, ha dato prova di saper trasferire nell’organizzazione, che è sempre un involucro e non un fine per se stessa, i sapori profondi dello stare insieme come reciprocità di servizio, di ascolto e di apprendimento. Oggi questo tema si esprime nei termini del richiamo alla scuola come ‘comunità educativa’, vale a dire mondo vitale capace di strutturarsi in forme di razionalità organizzativa finalizzata alla promozione dell’umanità personale..
Nella struttura fondamentale della Rinnovata questo era già compreso.
Il senso della primarietà
E’ quindi possibile, sulla scorta di queste indicazioni, ritrovare le connotazioni della elementarità-primarietà come categoria permanente di lettura della scuola.
E’ facile intuire quali sono le essenziali accezioni in gioco:
a - la ‘primarietà’ si definisce in termini estrinseco-cronologici, indicando ciò che viene prima rispetto a ciò che viene dopo nel tempo;
b - la ‘primarietà’ si definisce in termini di priorità-superiorità-importanza, indicando ciò che merita una collocazione di emergenza in un ordine di valore;
c - la ‘primarietà’ si definisce in termini di semplicità-facilità di fronte a condizioni di complessità-difficoltà;
d - la ‘primarietà’ si definisce come essenzialità-basilarità-fondamentalità in una sequenza progressiva di esperienze di sviluppo formativo.
E’ chiaro che l’analisi pedagogica si caratterizza per lo svolgimento dell’approccio d-, rispetto al quale, comunque, è possibile identificare un’ulteriore ramificazione:
d1 - è ‘primario’ ciò che fornisce a ciò che segue le condizioni descritte per il suo miglior funzionamento possibile (concezione successiva/preparatoria diretta);
d2 - è ‘primario’ ciò che sviluppa nella sua interezza la personalità in un dato momento del suo divenire nel quadro di una visione organicamente continua del pro- cesso di formazione (concezione progressiva/preparatoria indiretta).
Da tutto questo deriva l’abbandono di una visione ‘fisica’ del problema a favore di una visione ‘modale’, nella quale non è tanto importante stabilire a chi spetti di essere ‘primario’ in assoluto ( la scuola materna, ad esempio, può essere considerata primaria rispetto all’elementare ed il liceo rispetto all’università, e via dicendo) quanto considerare quali sono le caratteristiche di primarietà che a ciascuno dei punti collocati nella sequenza spettano nel momento in cui sono considerati.
In altre parole, quello che conta è vedere, qui, quali sono i tratti di primarietà che la scuola elementare deve mantenere come luogo di sviluppo educativo integrale della personalità di alunni dai 6 anni in avanti
Passiamo, quindi, dalle enunciazioni formali a quelle sostanziali.
La risposta alla nostra domanda è possibile soltanto in relazione a due ordini di elementi, che si rifanno, da una parte, ai motivi originari stessi della scuola elementare e, dall’altra, alle sue giustificazioni culturali ed educative più attuali.
Il primo versante, allora, ci dice che la scuola elementare ha senso in quanto:
- esperienza di umanizzazione culturale fondamentale in un clima di naturalezza didattica e nello sfondo della progettazione universalistica del diritto all’ educazione come condizione del conseguimento della pienezza personale; - forma storico-culturale dell’elevazione del soggetto alla sua completa ‘dignità’ morale all’interno di ogni e qualsiasi condizione di vita e di fortuna; - tirocinio fondativo basilare dell’ esercizio corretto della ragione e dell’ acquisizione delle strutture civico-morali essenziali per la vita di un cittadino; - tassello costitutivo del continuum di esperienza educativa mediante il quale la qualità complessiva della vita umana incrementa incessantemente il proprio sviluppo migliorativo; - modo privilegiato dello stabilirsi del contatto formativo fra lo spirito individuale dell’alunno e le infinite forme dello spirito realizzate nella vita della cultura; - tirocinio di accompagnamento dell’alunno nella vita della cultura organizzata secondo un principio di comunicazione di valori; - azione intensiva di istruzione educativa.
Si intravvedono quanto mai chiaramente, allora, i segnali dominanti della fondamentalità, della essenzialità, della integralità, dell’accompagnamento culturale, della naturalezza psicodidattica e della universalità sociale.
Sul secondo versante, invece, troviamo, come indicatori salienti, l’acquisizione sicura degli strumenti alfabetici essenziali, l’introduzione efficace nel mondo della cultura senza diventare per questo luogo di classificazione ed ordinamento in funzione di esigenze formali, il rafforzamento delle disposizioni alla produttività, l’apertura alle modalità oggettive di interesse per l’ambiente naturale ed umano, il potenziamento dell’inclinazione a forme ‘distese’ di socialità cooperativa e la valorizzazione della condizione di germinalità di contro alla tendenza di carattere quantitativo ed onniesaustivo (dall’autosufficienza alla continuità).
Il che – per concludere – la Pizzigoni sapeva molto bene; tanto bene da insegnarcelo con la sua scuola.