Nell'affrontare il tema della professionalità docente nell'ambito di una riflessione sulle tradizioni e le prospettive della Rinnovata Pizzigoni nell'attuale momento della scuola (elementare) italiana, attraversata da sperimentazioni volute dal ministero (D.M. 100/2002) in prospettiva di una (contro)riforma di sistema (che investe radicalmente anche il profilo professionale e la formazione dei docenti), si potrebbero sviluppare diverse linee argomentative.
Ad esempio, si possono rintracciare le molte anticipazioni contenute nella proposta/esperienza della Pizzigoni che si sono progressivamente accreditate e diffuse, almeno a livello di teorie e pratiche dichiarate, e che oggi costituiscono un patrimonio tanto ampiamente condiviso quanto continuamente a rischio di cristallizzazione o di travisamenti e decadenza, se non di assalti e strumentalizzazioni; e quindi da richiamare, salvaguardare e difendere. Si pensi, ad esempio, al ruolo assegnato all'attività motoria e all'esplorazione diretta all'aperta e nell'ambiente-territorio non solo circostante; o alla 'pedagogia dell'apprendimento contrapposta a una pedagogia dell'insegnamento' (Cassottana, 1988) o 'l'idea movente storico-sociale, come la definisce Romanini (1968), che guida lo 'spirito autenticamente democratico di Giuseppina Pizzigoni' (Cassottana, 1988). Tutti elementi centrali per la delineazione, anche e soprattutto oggi, della professionalità docente per la scuola primaria, ma già ampiamente ribaditi e sui quali si può rimandare ad un'ampia letteratura, anche in considerazione del limitato tempo a disposizione per quest'intervento.
Oppure, si possono prendere in considerazione temi (tuttora) di grande attualità quali il rapporto tra i docenti che operano nelle classi e quelli dei 'laboratori', il tempo scolastico, il raccordo tra 'asilo infantile' (… ritardare di un anno il leggere e lo scrivere … -Pizzigoni, 1968, p.69-), scuola elementare e 'VI, VII, VIII classe' del ciclo primario. Ed in questo caso entreremmo nel vivo di un dibattito aperto e continuo, attento soprattutto agli aspetti funzionali ed operativi, agli strumenti -trattati come 'centrali' nella contrapposizione di modelli e soluzioni- più che ai principi o (il più delle volte surrettiziamente) in nome di essi. Ma in questo caso gli elementi di 'cronaca' potrebbero prevalere e far scadere il livello dalla riflessione al 'talk show'.
Tra storia e cronaca, principi e soluzioni scelgo di porre sommariamente l'attenzione solo su alcuni punti/problemi che considero pertinenti e 'strutturali' rispetto al tema specifico della professionalità docente: - idea del lavoro didattico, - formazione continua, - doppia 'fedeltà' tra responsabilità nei confronti dell'istituzione e (primariamente) responsabilità verso dei bambini.
- 1. Idea del lavoro didattico
Scurati considera "del tutto originale" "la particolare … rielaborazione della Pizzigoni (che) si può condensare nella costruzione dell'idea di lavoro didattico come concetto centralmente ordinatore della prospettazione insieme organizzativa ed educativa che la Rinnovata intendeva testimoniare." (Scurati, 1987,p. 50) e precisa che in tal senso va interpretato il 'metodo', ovvero "una costruzione organicamente connessa ed identificabile di ispirazioni finalistiche, elaborazioni contenutistiche, strutturazioni strumentali, regole procedurali ed allocazioni organizzative" (Scurati, 1987, p.47) che nell'esperienza della Rinnovata e nelle Lezioni ai Maestri d'Italia viene prima 'praticato' (ma nasce da riflessione ed esercizio di responsabilità) e poi 'teorizzato' in forma di testimonianza, più che di modellizzazione.
In questa prospettiva, la Pizzigoni "… ritiene che il maestro debba essere nutrito di studi … ma ritiene anche che non si tratta affatto di una semplice applicazione dei loro principi e delle loro leggi … Non dunque un ingegnere. Se mai essa pensava al maestro come ad un architetto nella cui opera infatti non solo si evitano gli errori, ma interviene comunque un elemento creativo, un fattore d'arte …" e quindi "… ritiene che la scuola debba per vivere studiare se stessa, esaminarsi autonomamente dall'interno…" (Romanini, 1964, pp. 26-27).
Le considerazioni critiche ora richiamate evidenziano il carattere progettuale-riflessivo del lavoro didattico (e quindi della professionalità docente) che si è progressivamente consolidato nelle elaborazioni di recente più accreditate, che -tra l'altro- si avvalgono delle medesime analogie per illustrare le loro opzioni. Secondo Schön (1993 - che appunto evidenzia l'analogia tra le professioni dell'architetto, del manager e dell'insegnante), l’insegnamento, in quanto “attività che si occupa della trasformazione di situazioni esistenti in situazioni desiderate, ha a che fare con la progettazione” che si configura “come una conversazione con i materiali di una situazione” unica e incerta. Schön illustra i caratteri dell’insegnamento riflessivo per contrasto con quanto avviene in “ una scuola tipica” di tipo burocratico-funzionalistico secondo il paradigma della razionalità tecnica. E nel panorama della ricerca, pur nella diversità di impostazioni, risulta sempre più ampiamente condivisa l’idea che "la competenza docente non è riducibile alla trasmissione di saperi in altre sedi definiti, quanto piuttosto è una competenza di ricercatore, capace di progettare e di gestire percorsi di ricerca su problemi aperti, su domande legittime. La professionalità del docente non può essere calibrata solo in funzione della metodologia e della tecnica didattica. Occorre piuttosto sviluppare nei docenti una competenza evolutiva, capace di interpretare le dinamiche della comunità di riferimento per coniugarle con la funzione formativa" (Cogliati Dezza, 1997) . Inoltre, prevale l’orientamento a considerare la complessità della funzione docente come un valore e ad evitare impostazioni riduzionistiche di tipo disciplinaristico, didatticistico o socio-funzionalistico.
Il lavoro didattico, quindi, si configura come impegnato sul fronte della responsabilità personale e professionale nel prendere decisioni che riguardano la formazione (bildung) - che è costruzione del sé (della propria umanità) nel rapporto con la cultura (in quanto espressione d’umanità nelle forme scientifiche, artistiche, spirituali ecc.) e con gli altri- superando la frammentazione/contrapposizione istruire/educare. Nella scuola si educa, tutto l’uomo, nell’incontro con la cultura, che non è solo trasmissione o costruzione di conoscenze/competenze, ma esperienza spirituale, carica di valenze e significati emotivi e sociali, che tocca -per l’insegnante e per gli alunni- “i più profondi recessi della propria autocoscienza, dove fallimenti, timori e speranze sono nascosti”(Kagan, citato in Wideen-Mayer Smith-Moon, 1998 ). E anche per quest'aspetto alcune pagine della Pizzigoni (in particolare, La storia della mia esperienza -1956) risultano di particolare intensità, anche per la formazione iniziale dei nuovi insegnanti.
2. Formazione continua della professionalità docente
"Conoscenza della psicologia infantile, individuale e collettiva;
attitudine a vivere la vita del mondo piccino;
mente formata alla conoscenza della natura e della vita sociale e nazionale;
conoscenza del criterio di metodo nello svolgimento delle varie scienze,
e grande interesse all'infanzia, considerata in sé stessa, nel suo svolgimento e nell'avvenire a cui giungerà:
ecco a mio giudizio gli elementi indispensabili alla formazione del maestro della scuola primaria veramente rinnovata." (Pizzigoni, 1956, p.11) e soggiunge: "In continuo contatto con la vita vera, il maestro non può fossilizzarsi in una forma tutta particolare, che ne fa un tipo a sé, subito riconoscibile; sibbene si andrà formando pur esso a poco a poco, contatto per contatto … sarà persona sempre nuova …" perché "il maestro nuovo, insegnando, impara." (Pizzigoni, 1956, pp.300-301).
Formazione iniziale e continua dei docenti vengono con queste parole icasticamente delineate dalla Pizzigoni, mettendone in evidenza la complessità e la dinamicità. Ovvero, l'articolazione comprendente le dimensioni scientifica, tecnica e pratica, nonché lo sviluppo continuo nel corso della vita professionale.
Come afferma Mierieu (1985), la formazione (iniziale e continua) degli insegnanti non è
- né accumulazione di saperi accademici e pedagogici,
- né giustapposizione di competenze tecniche,
- né contagio grazie al quale si apprende un’arte ineffabile grazie al contatto con un modello prestigioso;
ma comprende tutte queste componenti.
'Diventare' insegnanti (e non solo 'fare' la maestra -stando ai dati sociologici- o il professore), scegliere la 'learning profession' come impegno e responsabilità di lavoro e di lungo periodo, ha radici e sviluppi che vanno ben al di là del -pur cruciale- periodo di formazione-professionalizzazione iniziale. L'intreccio 'vitae et studiorum' è alla base di un'impostazione della fase formativa di professionalizzazione mirata in cui teoria (saperi disciplinari e scienze dell'educazione), tecnica (laboratori) e pratica (tirocini) interagiscano non solo fra loro, ma anche con la cultura e l'orientamento personale di senso della professione che i soggetti in formazione vanno sviluppando. Abbandonata l'idea che all'ingresso nella professione segue una carriera per anzianità -ovvero per accumulo di esperienza- che si conclude con il meritato riposo, si è preferito parlare di sviluppo professionale articolato nel susseguirsi di momenti di lavoro sul campo e accumulazione di esperienza, di revisione e integrazione formativa, di diversificazione dell'attività professionale nel tempo. Comunque resta una logica lineare, accumulativa e progressiva. Il concetto di 'corso della vita', invece, richiama l'attenzione anche sulla rilevanza che hanno eventi imprevedibili, nella vita personale, culturale e professionale, nell'influenzare svolte, regressioni, accelerazioni, stasi, motivazioni, impegno ecc. e sull'opportunità di considerare il curriculum professionale come ri-costruzione continua del senso dell'azione, nel nostro caso, d'insegnamento nel contesto della vita personale e sociale, con le connesse responsabilità etiche. In altre parole, il curriculum di formazione degli insegnanti non può limitarsi a considerare esclusivamente la fase di professionalizzazione mirata, si radica in un orientamento 'vocazionale' precedente e si espande nella formazione continua vista come sviluppo/ricerca professionale, epistemica e di senso etico dell'azione. Pertanto, le strategie di formazione degli insegnanti devono considerare non solo le modalità di sviluppo e di raccordo reciproco tra gli insegnamenti, i laboratori e i tirocini, che sono comunque essenziali e su cui già si è detto (se non fatto) molto. Meritano esplicita considerazione e attuazione anche forme, strumenti e ruoli di accompagnamento formativo delle dimensioni di ordine culturale, personale ed etico-sociale che sono centrali nel 'diventare' e (voler) 'essere' insegnante, inteso come forma professionale della responsabilità pedagogica intergenerazionale. Insomma, la professionalizzazione dei docenti non è questione (soprattutto o solo) di ordine operativo, di simulazione-sperimentazione, di tirocinio o praticantato, di 'apprendistato cognitivo' del sapere tacito esperto, di abilità e competenze. Pur considerando questi aspetti essenziali, il percorso di formazione, in particolare in una professionale ad alto tasso di relazione umanistica integenerazionale, comporta l'adozione di curricoli e strategie intenzionali ed esplicite di orientamento e accompagnamento anche della costruzione del sé professionale, nelle sue componenti culturali, personali ed etico-sociali, non solo in termini di 'cura' e di 'benessere', ma di impegno e responsabilità educativa.
La formazione, quindi, deve offrire opportunità che permettano d’alimentare un approccio e la ripresa riflessiva in una professione ad alta densità antropologica, evitando le derive dell’espressionismo narcisista e dell’algoritmica impersonale.
3. L'insegnante tra standard e mondi vitali
E' assai significativo che, dopo aver illustrato 'Che cosa è la Rinnovata' ed avere affermato che "nella Rinnovata si vive la vita e si studia la vita", la seconda 'lezione ai maestri d'Italia' sia dedicata lezione alla 'Organizzazione della Rinnovata' (Pizzigoni, 1968, pp. 28, 34 e ss). Vita e organizzazione sono considerate un binomio inscindibile, in cui la seconda è al servizio della prima. Infatti, "la scuola … deve preparare alla vita e non agli esami, pure essendo io convinta che ove esami e scuola fossero fatti bene, l'uomo preparato alla vita lo sarebbe anche all'esame." (Pizzigoni, 1956, p.10). Ma si è trattato di un messaggio a lungo inascoltato se nel commentare quelle parole Romanini (1964, p.109) scrive, e noi oggi potremmo sottoscrivere in relazione all'attività biennale del Servizio Nazionale di Valutazione, che "… ancor oggi, la scuola per quanto voglia o possa sforzarsi di essere diversa e viva, non si salva dalla -come dire?- docimasiocrazia (brutta parola, che tuttavia è adatta poiché la cosa è ancora più brutta), dalla tirannia cioè degli esami, dei traguardi d'esame ad ogni passo e deve perciò rassegnarsi a preparare candidati agli esami, non già cittadini (tecnici, professionisti, studiosi) al paese."
La tensione tra 'fedeltà all'organizzazione-istituzione ed ai suoi obiettivi' e 'fedeltà agli alunni, alla loro vita' resta, quindi, il campo d'azione della professione docente.
Secondo L.McNeil (2000), nei sistemi scolastici basati sulla valutazione dei risultati (docimasiocratici, direbbe Romanini) prende piede il cosiddetto ‘insegnamento difensivo’ che si manifesta come
* Omissione dei contenuti non previsti dai test
* Mistificazione dei contenuti dei corsi, dando grande importanza ai contenuti dei test, pur senza condividerla
* Frammentazione del corso nella forma del ‘school knowledge’ astratto dalle conoscenze e dagli interessi degli alunni e dei docenti nel loro contesto
* Semplificazione del corso e abbassamento delle richieste
* Sdoppiamento del corso: per il test/sulla base del materiale standard, per una parte, e ‘reale’ secondo capacità e contesto, per un’altra.
Inoltre, a giudizio della McNeil, standard e valutazione di sistema riposizionano il ‘locus of control’ sul curricolo e “spostano le decisioni relative all’insegnamento-apprendimento lontano dalle comunità e dai professionisti, nelle mani di tecnici esperti che seguono l’agenda politica, riducendo la democrazia nel governo della scuola” con una “esternalizzazione del management che segue la burocratizzazione della scuola”.
Nel proporre un'analisi del problema Sergiovanni (2000) utilizza la teoria di J.Habermas che identifica 2 dimensioni dei gruppi sociali: systemworld e lifeworld. La prima attiene al raggiungimento degli obiettivi funzionali nel modo più efficace; la seconda all’attenzione ai bisogni dei soggetti e alla condivisione di valori. Nella sua proposta, organizzazione istituzionale e ‘mondo della vita’ sarebbero due dimensioni, anziché alternative, dell’organizzazione sociale scuola, ma a condizione che si rispetti un certo equilibrio di rapporti tra l’una e l’altra. Infatti, a giudizio degli autori che stiamo seguendo (come peraltro nella Rinnovata della Pizzigoni), quando le organizzazioni sociali funzionano correttamente, il lifeworld è al centro; al contrario si ha una ‘colonizzazione’ quando il systemworld comincia a prevalere sul lifeworld e ciò si realizza gradualmente ed in modo ampiamente sommerso. La responsabilità educativa dei docenti e dei dirigenti scolastici deve, quindi, essere impegnata a costruire cultura, comunità e senso nelle nostre scuole, affinché il lifeworld non sia soverchiato dal systemworld.
Per concludere, una riflessione sul ruolo che hanno i dirigenti -quale appunto fu la Pizzigoni- nel promuovere le condizioni affinchè la professionalità docente si possa esplicare come servizio alla vita, prima che al sistema. Le scuole necessitano di una leadership speciale perché sono mondi della vita intensivi che appartengono ai genitori e agli alunni e devono rispondere allo specifico contesto. Pertanto, il dirigente scolastico deve proteggere il mondo della vita dalla colonizzazione da parte del sistema. Conseguentemente, la school administration si configura come una disciplina etica che riguarda buoni o migliori processi, buoni o migliori mezzi, buoni o migliori fini e non solo l’efficacia-efficienza dei mezzi rispetto a scopi assegnati dalla proprietà, come vorrebbero le teorie classiche del management. In questo, la Rinnovata Pizzigoni può essere considerata una testimonianza degna d'attenzione, nella prospettiva di un'autentica autonomia (di ricerca e sviluppo) delle scuole e dei professionisti che vi operano.
Riferimenti
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McNEIL M.L., Contradictions of School Reform – Educational Costs of Standardized Testing, Rouledge, New York & London, 2000
MIERIEU P., La pédagogie entre le dire et le faire, ESF, Paris, 1995
PIZZIGONI G., Linee fondamentali e programmi e altri scritti, La Scuola, Brescia, 1956
PIZZIGONI G., Le mie lezioni ai maestri d'Italia, La Scuola, Brescia, 1968(5)
ROMANINI L., Pizzigoni, La Scuola, Brescia, 1964(2)
ROSSI CASSOTTANA O., Giuseppina Pizzigoni. Oltre il metodo:"la teorizzazione nascosta", La Scuola, Brescia, 1988
SCHÖN D., Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari ,1993
SCURATI C., Il metodo Pizzigoni, in AA.VV., Giuseppina Pizzigoni e la 'Rinnovata' di Milano nella prospettiva della nuova scuola elementare, Opera Pizzigoni, Milano, 1987
SERGIOVANNI T. J., The Lifeworld of Leadership - Creating Culture, Community, and Personal Meaning in Our Schools, Jossey-Bass, San Francisco, 2000
WIDEEN, MAYER SMITH, MOON, A Critical Analysis of the Research on Learning to Teach: Making the Case for an Ecological Perspective on Inquiry, in ‘Review of Educational Research’, Summer 1998, vol. 68, n.2